Sezione: Racconti
Le specie invasive – Manifesto
Giuliano Sadar
Alcuni li chiamano animali invasori. Altri, “specie invasive”. Nonostante gli aggettivi antipatici, sono anch’essi vittime della globalizzazione. Introdotti in ecosistemi non loro, li alterano causando un pesante inquinamento biologico, il degrado degli habitat, l’estinzione di specie autoctone, già in difficoltà causa gli attacchi – spesso ancora più invasivi…- della specie-uomo all’ambiente. Sono invasori, gli “inquilini per sbaglio”, ma spesso hanno l’aspetto rassicurante di grandi gattoni, simpatici scoiattoli, tartarughe di palude, pacifici pesci di fiume, invisibili pesciolini. Sono centinaia, sono nel mirino di allarmate associazioni internazionali come l’Invasive Species Specialist Group, ora sono oggetto di una interessante mostra al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, aperta sino al 28 ottobre, intitolata “Alieni tra noi”. Interferiscono con le specie autoctone in vari modi: competizione per il cibo, occupazione o distruzione del territorio, ibridazione fra le specie. E sono spesso agevolati perché nei nuovi ambienti mancano i fattori limitanti delle aree di provenienza come certe malattie, i predatori naturali, i parassiti, gli animali competitori, i rigori climatici. E così spesso aumentano di numero in modo abnorme, provocando squilibri ecologici pesanti. Ma non è colpa loro. E’ stato sempre l’uomo che li ha catturati, imprigionati, trasportati in luoghi lontani, con le motivazioni più diverse. Come le nutrie, ad esempio, simili a grandi simpatiche marmotte o enormi schifosi ratti (scelga il lettore), oggi presenti nel delta del Po, nei laghi del centro Italia, in vari canali della penisola. Causano ogni anno miliardi di danni perché brucano le coltivazioni e demoliscono gli argini. Sono arrivate in Italia nel Ventennio, destinate ad allevamenti dove, scuoiate, davano la pelliccia di “castorino”. Crollato il mercato, sono state abbandonate nei corsi d’acqua e ora, colpevoli di riprodursi velocemente e di non avere competitori naturali, si prendono tutto il fio della loro scomoda presenza. E continuano ad venir abbandonate negli stagni le tartarughe d’acqua. Sino a tre anni fa le “orecchie rosse”, Trachemys scripta elegans, grande business della tratta mondiale di animali; oggi, altri ibridi allevati nelle farm della Louisiana per aggirare le leggi Cites sulle specie protette, che la gente continua a comperare credendo rimangano piccole. Ovviamente così non è: dopo un paio d’anni, se riescono a sopravvivere, le tartarughe diventano animali grossi e ingombranti, e la gente se ne libera abbandonandole in stagni e corsi d’acqua, dove entrano in competizione con la Emys orbicularis, tartaruga autoctona a rischio d’estinzione. Senza aver alcuna colpa, ovviamente. Come nessuna colpa ha la zanzara tigre, oggi inquilina diurna di molte grandi città italiane e di zone industriali piuttosto che delle paludi, giunta in Italia nei pneumatici delle auto importate dal Sudest Asiatico. O come lo scoiattolo grigio, più grande, aggressivo, resistente e prolifico di quello rosso, autoctono, con cui è in competizione. Lo scoiattolo rosso rischia l’estinzione? Forse sì, forse no. Il dottor Nicola Bressi, zoologo, curatore della mostra triestina, ci dice, scettico, che alcuni suoi colleghi ritengono che saranno le Alpi a risolvere il problema. Lo scoiattolo rosso vive agevolmente fra i 1400 e i 1800 metri di quota. Il grigio, no. E sarà questa “striscia”, forse, a salvare “cip” da “ciop”, come li hanno spesso chiamati, con icastica immaginazione ben degna di altre cause, alcuni giornali. Entrambi animali incolpevoli, ovviamente. Come incolpevole è la “terribile” gambusia americana, o “mosquitofish”, importata in Europa per combattere le zanzare, ma rivelatasi una vera e propria ecomacchina da guerra. Avrebbe estinto sinora ben trenta specie di animali. E incolpevole è il Rattus norvegicus, dal Medio Oriente direttamente ai ventri delle nostre città. Così come l’afide del cipresso, la formica argentina, il persico trota, la trota iridea, la capra selvatica, il ratto nero, i cinghiali e i maiali selvatici. Tutti però “colpevoli” di esistere. In un ambiente che non è il loro.
Giuliano