Un teologo difende il non umano:
risposte alle domande sugli animali e sulla sofferenza del non umano.
Padre Luigi Lorenzetti
Tratto da: Famiglia Cristiana del 03/09/2006
Mi sono chiesta se il comandamento di non uccidere nella sua sintetica enunciazione si riferisca solo agli uomini oppure comprenda anche gli animali.
Angela B.
«Non uccidere» è il comandamento che Dio, tramite Mosè, ha dato a Israele. Gesù, il nuovo legislatore, lo porta oltre l’originaria definizione: «Avete inteso che fu detto: “Non uccidere”… Ma io vi dico…» di non odiare, di non offendere, di amare e perdonare. Il comandamento è posto nell’orizzonte dell’amore, che include e supera la giustizia, e raggiunge il vertice nel mistero del Golgota. È impossibile giustificare, in nome del Vangelo, l’uccisione e la violenza dell’uomo sull’uomo. La violenza non trova alcuna legittimazione morale, non può dirsi mai giusta.
È sostenibile l’interpretazione tradizionale che limita il comandamento di non uccidere ai soli esseri umani? Il comandamento, nella sua dizione sintetica, non esclude gli animali. Infatti, dice: «non uccidere» anziché, «non commettere omicidio». In ogni caso, la comprensione della creazione e del suo futuro ultimo conduce a estendere il comandamento anche agli animali. L’universo (e tutte le sue creature) è affidato all’uomo, perché lo custodisca e lo porti a compimento secondo il disegno di Dio. Certamente le creature sono utili all’uomo ma, prima ancora, sono bellezza e valore per sé stesse e dicono appartenenza al creatore che le ha create.
Non giova molto discutere se gli animali hanno diritti, è certo che l’uomo ha dei doveri e delle responsabilità: non ha il potere di creare la loro vita, non ha il potere di toglierla. Inoltre, nel disegno di Dio, la creazione è orientata verso «nuovi cieli e terra nuova». Le realtà ultime non riguardano la comunità degli uomini, ma anche l’universo. Alcuni passaggi della Scrittura parlano di un futuro dove tutte le creature vivranno insieme in pace, e dell’attesa di un compimento definitivo che coinvolge l’universo. Non sappiamo come ciò accadrà, ma
trasformazione non vuol dire distruzione.
Tutto questo è più che sufficiente perché l’uomo rispetti la terra, il cielo e tutti i suoi abitanti. Su tali basi si può comprendere che la questione ecologica in generale, e quella animalista in particolare, non sono estranee al messaggio che la Chiesa è chiamata a trasmettere: annunciare il progetto di Dio sul creato e su tutte le creature; denunciare la mentalità e i comportamenti che lo trasgrediscono e ostacolano.
I casi sono innumerevoli e, tra questi, il deplorevole abbandono degli animali, la sperimentazione cosiddetta scientifica che mutila e uccide, l’industria della pellicceria che serve solo alla vanità, la caccia per sport, l’allevamento in batteria e i mattatoi. Non è che tutti devono diventare vegetariani per forza, ma è doveroso per tutti coglierne il messaggio: «perché l’animale viva».
Non uccidere è doveroso, ma non basta. È necessaria una conversione, individuale e collettiva, a una nuova mentalità. Segnali in questa direzione non mancano e fanno sperare che, in futuro, i cattolici non avranno bisogno di ricorrere ad altre culture o religioni per coltivare un corretto e pacifico rapporto con gli animali. Onorare Dio significa anche onorare le sue creature.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 22/04/2007
Sappiamo che gli animali sono dotati di un’anima vegetativa e sensitiva. Ma possiamo anche dire che hanno un’anima intellettiva come gli uomini?
Laura D. – Genova
L’etologia è ricca di scoperte sorprendenti. In base a rigorose sperimentazioni, dimostra che gli animali sono dotati di sensibilità, di memoria, di comunicazione. Konrad Lorenz, nel libro Egli parlava con i mammiferi, gli uccelli e i pesci, conferma con dati scientifici quanto è descritto nella storia e nella leggenda di Francesco d’Assisi.
L’eminente scienziato, tuttavia, scoraggia chi vuole sostenere l’uguaglianza tra l’animale e l’umano. Nell’ultima intervista, rilasciata prima di morire, alla domanda su ciò che distingue l’uomo dall’animale, Lorenz risponde che «la riflessione è una proprietà tipicamente umana. Attraverso questo si arriva al pensiero concettuale…. al grande salto nell’evoluzione, ma anche l’anello che ci congiunge agli animali». In altre parole, l’essere umano è l’unico, tra i viventi, che sa di esistere (autocoscienza) e, quindi, è l’unico che si pone la questione del senso del vivere e dell’agire.
C’è, pertanto, continuità tra l’essere umano e gli animali, ma anche profonda discontinuità e differenza. La filosofia classica illustra somiglianze e differenze in base alle tre anime: anima vegetativa, propria di tutti gli esseri viventi; anima sensitiva, propria degli animali e dell’uomo; anima razionale, propria solo dell’uomo che lo connota nella sua specificità. Tra i viventi, solo l’essere umano è capace di auto-consapevolezza e di libertà-responsabilità. D’altra parte, non c’è bisogno di promuovere gli animali al rango di umani per accrescerne l’importanza: non è che un modo di svilirli e, con loro, Colui che li ha creati. La teoria dello specismo e quella opposta dell’uguaglianza sono due aspetti della medesima medaglia: il non riconoscimento della specie animale per sé stessa. La dignità dell’essere umano, creato a immagine di Dio, non toglie o diminuisce in nulla la dignità dei viventi non umani. È necessario superare una falsa idea di superiorità che ha legittimato un certo disprezzo della natura e degli animali e ha impedito di conoscere la loro particolare natura e il valore che hanno per sé stessi. La letteratura e la scienza tradizionali hanno collocato spesso, da una parte, l’uomo ragionevole e, dall’altra, il bruto (dal latino brutus, cioè stupido) per designare la bestia, da cui la parola bestialità.
In contrasto con simili persuasioni, Léon Bloy osservava che «non si basa al fatto che le bestie sono altrettanto misteriose quanto l’uomo e si ignora assolutamente che la loro storia è una scrittura per immagini, in cui risiede il segreto divino. Ma non si è presentato ancora nessun genio per decifrare l’alfabeto simbolico della creazione».
Il credente avverte che Dio non ha creato solo gli esseri umani, e quanto esiste è termine della sua Provvidenza. La questione animalista ed ecologica non è riservata a qualche associazione, ma chiama in causa il credente. La nuova sensibilità all’ambiente e agli animali è un segno da decifrare per verificare quali risposte i credenti intendono dare nella prospettiva di una rinnovata comprensione del disegno di Dio.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 11/02/2007
Se Dio è buono e ha creato tutto dal nulla, come conciliare la sua bontà con la violenza presente tra le creature animali che si sbranano a vicenda?
Giovanni A. – Torino
Nell’osservare il comportamento animale pare confermata la storia del pesce grande che mangia quello piccolo. Dal momento che l’animale non è consapevole di quello che fa e non è libero di fare altrimenti, il riferimento al Creatore appare ovvio. Anche se occorre dire che il comportamento degli animali, oltre a fare problema, trasmette una grande lezione: il leone sbrana la gazzella per fame, gli esseri umani lo fanno spesso per divertimento, per sport, per gioco, e per discutibili sperimentazioni scientifiche. I nostri contemporanei sono distanti anni luce dall’uomo preistorico che, mentre uccideva l’animale, gli chiedeva perdono per il fatto che doveva ucciderlo per fame.
L’interrogativo di Giovanni però rimane e s’ingrandisce se si aggiunge lo scenario delle forze della natura che si scatenano e distruggono, con terremoti, uragani e alluvioni, interi paesi, seminando sofferenze, malattie e morti.
Il disegno di Dio sul creato rimane sempre misterioso, ogni affermazione è aperta a ulteriore comprensione. Una prima comprensione viene dal Catechismo della Chiesa cattolica che parla di un universo, creato da Dio, in «stato di via» verso la sua perfezione ultima. Fino a che la creazione non avrà raggiunto la perfezione, accanto al bene fisico esiste anche il male fisico. D’altra parte, il compimento ultimo dell’universo, a iniziativa di Dio, non è da attendere, ma in qualche modo da preparare e anticipare a iniziativa dell’uomo. In questa prospettiva, si vede l’importanza dell’agire umano per ridurre il male fisico, dove questo si presenta, e promuovere il bene fisico. In questa direzione, le grandi risorse della scienza e della tecnica vanno impiegate per costruire e non per sfruttare e distruggere l’ambiente.
Una seconda comprensione viene dal racconto della creazione, che la Genesi presenta nella successione di tre quadri. Nel primo Dio, al termine della creazione, riconosce che «quanto aveva fatto… era cosa molto buona» (1,31). Nessuna violenza, nessuna ombra turbano il quadro di un’armonia creata. Il secondo quadro descrive l’armonia infranta con il peccato che sconvolge le relazioni a ogni livello, anche cosmico.
Giovanni Paolo II commenta che Adamo ed Eva, «con il loro peccato distrussero l’armonia esistente…, ciò portò non soltanto all’alienazione dell’essere umano da sé stesso, alla morte e al fratricidio, ma pure a una certa ribellione della terra nei suoi confronti. Tutto il creato divenne soggetto alla caducità e, da allora, attende»: è il terzo quadro che illumina il futuro: «di essere liberato per entrare nella libertà gloriosa insieme con tutti i figli di Dio». Così la redenzione non riguarda solo la comunità degli uomini, ma anche l’intero universo.
Di fronte al male, nelle sue molteplici espressioni cosmiche e umane, non è Dio che fa problema, ma è la libertà-responsabilità umana, la chiusura, l’egoismo, il non assecondare il progetto di salvezza e di liberazione che coinvolge gli esseri umani, gli animali, le piante e l’intero universo.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 14/05/2006
Se Dio ha creato il mondo e gli animali, salvandoli dal diluvio, è possibile che poi siano destinati alla morte eterna? Cosa c’è per loro dopo questa vita?
Tiziano M. – Belluno
Il creato è un insieme armonico, ma diversificato. La prima differenza è tra la realtà inanimata e animata. E, dentro quella animata, tra vegetale, animale e umana. Animale vuol dire anima, sensibilità, e si riferisce ai diversi viventi. «Anche gli animali», scriveva Giovanni Paolo II, «sono frutto dell’azione creatrice di Dio. I testi sacri ammettono che anche gli animali hanno un soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio». E aggiungeva: «L’esistenza delle creature dipende, dunque, dal soffio-spirito di Dio, che non solo crea, ma anche conserva e rinnova continuamente la faccia della terra». In breve, ogni vita è creazione di Dio e non produzione dell’uomo.
La creazione ha un futuro oltre il tempo? Il futuro promesso, nel disegno di Dio, riguarda solo l’uomo e la comunità degli uomini o anche il cosmo e tutte le sue creature? Questo mondo perirà o troverà compimento oltre la storia? Come intendere l’annuncio cristiano della trasformazione del mondo cosmico nell’ultimo giorno?
Per rispondere, la teologia della creazione si collega alla teologia dell’escatologia (o teologia delle realtà ultime) e questa autorizza a ritenere che tra lo stadio finale e l’attuale faccia della terra esiste una continuità, che va compresa in termini di pienezza o di compimento. «Dio non fa perire», hanno chiarito i teologi italiani in un convegno del 1994 dal titolo “Futuro del cosmo, futuro dell’uomo”, «il vecchio mondo per farne sorgere uno nuovo dalla sua rovina, ma persevera nella fedeltà al mondo da lui creato e lo conserva e gli dà compimento». Nella recita del Credo affermiamo che «aspettando la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Dio ha promesso cieli nuovi e una nuova terra (cf. Ap 21,1), che non sorge dalla rovina o dal nulla di questo, ma dal suo compimento e trasformazione.
La realtà futura (escatologica) è annuncio di armonia e riconciliazione che riguarda non solo l’uomo, ma anche il regno animale e l’ambiente naturale. L’apostolo Paolo è certo che anche tutta la creazione è raggiunta dalla redenzione: «la creazione attende con ansia la manifestazione dei figli di Dio… La creazione stessa sarà un giorno liberata dalla servitù della corruzione… Fino ad ora la creazione tutta geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,19.21-22).
Nella prospettiva della creazione e redenzione si può rispondere alle domande sugli animali. Siamo autorizzati a pensarli nella prospettiva delle realtà ultime (escatologia) e di godere un giorno anche della loro presenza? Un incoraggiamento alla speranza è stato formulato da Paolo VI: «Anche gli animali sono creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono un segno dell’impronta universale del peccato e della universale attesa della redenzione». L’orientamento escatologico della fede nella creazione è, dunque, di grande importanza. La sorte futura del mondo creato, e di tutte le creature, illumina e orienta la responsabilità umana nel salvaguardare l’intera creazione, che avrà compimento nell’ultimo giorno.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 28/08/2005
Benché l’umanità sia condizionata dal peccato, essa si differenzia dagli animali perché dotata di anima. E allora, perché tanta crudeltà e violenza in giro?
Tonia
Riusciamo a comprendere, sia pure a fatica, il male che viene dalla natura e quello che viene da e tra gli animali; non riusciamo, invece, a comprendere il male compiuto dall’uomo: il male morale (o il peccato). Non solo veniamo a sapere da altri, ma noi stessi vediamo i drammatici scenari di violenti scontri fratricidi e le inenarrabili sofferenze e ingiustizie che ne scaturiscono, il disordine sociale, la guerra, l’ingiustizia, la violenza contro l’altro e la sua soppressione. Come spiegare tanta crudeltà? Non sono forse fatti superiori alle capacità anche dell’uomo cattivo? Non rinviamo forse fuori e oltre l’uomo?
Per capire il male morale, quello cioè compiuto dall’uomo, non è necessario allontanarsi dall’uomo. Andare oltre significa costruire facili alibi per non riconoscere la libertà-responsabilità umana. «Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Il male», ricorda il Messaggio della giornata mondiale della pace 2005, «passa attraverso la libertà umana… Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono». La radice del male morale è nell’uomo che si allontana da sé, dalla sua coscienza, cioè da Dio, pervertendo le relazioni fondamentali con gli altri e con l’ambiente naturale. Il vero problema non sta nel conoscere l’origine del male. Questa la conosciamo. Il vero problema è vincerlo, superarlo. Il messaggio cristiano, più che all’origine del male, è interessato alla sua fede, e non soltanto nell’ultimo giorno, ma anche nel tempo intermedio. La speranza cristiana non porta a evadere, ma a impegnarsi, nella storia, per sconfiggere il male. «Nonostante i peccati personali e sociali che segnano l’agire umano», ricorda ancora il Messaggio citato, «la speranza imprime slancio sempre rinnovato per la giustizia e la pace, insieme a una ferma fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore».
In questa prospettiva, occorre smascherare falsi luoghi comuni che inducono alla rassegnazione passiva o al fatalismo. Anzitutto il facile ricorso a forze oscure e demoniache. Certamente, nel mondo agisce il «mistero dell’iniquità», ma ancora di più il «mistero della redenzione». Non dobbiamo dare a vedere di credere più al diavolo che a Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Cristo ha vinto il male e dona all’uomo la forza di vincerlo dentro e fuori di lui. È anticristiano pensare che le disgrazie siano castighi di Dio. Molto spesso lo si dice e lo si pensa, ma in contrasto con la fede: Dio, in Gesù di Nazareth, si è rivelato come aiuto, liberazione dal male.
In secondo luogo, occorre non tirarsi fuori da quanto succede nel mondo: siamo solidali e interdipendenti nel bene come nel male. Ognuno deve domandarsi: che cosa posso fare?
Infine, ma non ultimo, è necessario smascherare le ideologie e i falsi profeti che presentano il male come bene o lo giustificano, sia pure come necessario. Lo squilibrio nel mondo non è da attribuire a chissà quale destino superiore, è invece opera dell’uomo (singolo o popolo), del suo egoismo e della sua ingiustizia. La guerra è barbarie e fonte di barbarie; nessun aggettivo (giusta, santa, necessaria, intelligente) la può riscattare. Coniare termini (pre-embrione) per non rispettare la vita umana fin dal suo inizio non è scienza, ma arbitrio e dominio. Uccidere in nome di Dio è bestemmia. E si potrebbe continuare. Il male non può essere superato se viene presentato come bene. Il primo impegno per fermare il male è quello di dire la verità.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 30/01/2005
Che cosa pensa la Chiesa sul consumo esagerato di carne, l’abbigliamento che si ricava dagli animali, la caccia e le pratiche estreme in cui sono coinvolti animali?
Loredano P. – Bologna
La nuova cultura ecologica e animalista chiama direttamente in causa il pensiero tradizionale cristiano. Nella bimillenaria storia del cristianesimo –si osserva criticamente- filosofi e teologi hanno insegnato l’importanza dell’essere umano (antropocentrismo), ma l’hanno negata alle creature non umane; in base a una lettura strumentale di testi sacri, hanno attribuito all’uomo un dominio incondizionato e arbitrario sull’universo e quanto esso contiene. Per molti, anche credenti, il pensiero tradizionale cristiano è quasi una pietra d’inciampo per la credibilità della fede: ad eccezione di alcune persone illuminate (come Francesco di Assisi ), si nota indifferenza ed estraneità. Alcune correnti del movimento animalista sostengono che nel cristianesimo storico (ma anche nell’ebraismo e nell’islam), c’è un rapporto meramente strumentale e utilitarista con gli animali: tanto vale cercare un’ispirazione in altre religioni.
La cultura ecologica e animalista, che è riuscita a farsi valere anche sul piano legislativo nazionale ed europeo, è una salutare provocazione; conduce i cristiani (come singoli e come comunità di appartenenza) a ripensare la teologia della creazione: qual è il disegno di Dio creatore sull’universo, sull’essere umano e sugli esseri non umani? Le risposte non tardano a venire: gli animali sono creature di Dio e significano relazione a lui prima che all’uomo (concezione teocentrica); l’eminente dignità dell’uomo – egli stesso è parte della creazione – non annulla né minimizza la dignità specifica delle creature non umane; gli animali non hanno bisogno di essere elevati al rango di esseri umani: vorrebbe dire che non si riconosce la loro specifica dignità; i diritti sono propri dell’essere umano, in quanto è capace (lui solo) di corrispettivi doveri, e, tra questi, il dovere di rispettare e promuovere il benessere degli esseri non umani; il dominio, affidato dal Creatore all’uomo, è servizio, custodia e perfezionamento della creazione e di tutte le creature secondo il progetto di Dio; l’attesa di «cieli nuovi e terra nuova» fonda la speranza della creazione trasformata, ma non distrutta: Dio non ha interesse ad annullare quanto ha creato e che ha visto come molto buono.
Nella nuova prospettiva teologica, il Catechismo della Chiesa cattolica dedica agli animali quattro numeri (dal 2415 al 2418) sotto il titolo significativo: “Il rispetto dell’integrità della creazione”. Ecco le affermazioni centrali: «La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta» (n. 2416); «Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine» (n. 2417); «è contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita» (n. 2418). Sono così descritti i princìpi di una nuova cultura che orienta alla giusta soluzione dei molteplici problemi senza pretendere che il magistero intervenga per ogni singola questione del dibattito attuale.
In applicazione, è fin troppo evidente che la caccia per sport (cioè per divertimento) non può ottenere legittimazione, meno che meno benedizione; non c’è ragione alcuna per confezionare vestiti di lusso (pellicce); la sperimentazione medica e scientifica – ammesso che sia necessaria – deve evitare, oltre la sofferenza, il rischio dell’integrità e della vita dell’animale; lo svago non legittima le feste sadiche, le corride e i combattimenti fra animali. Gli animalisti non hanno sempre ragione, ma i cristiani non dovrebbero essere secondi nel riconoscere il rispetto che si deve all’«integrità della creazione». Gli animali, prima che un valore strumentale per l’uomo, hanno un valore finale: sono un bene per sé stessi.
Tratto da: Famiglia Cristiana del 06/06/2004
Perché pensare a un creato che pone al centro solo l’uomo? E che cosa dire degli animali usati dall’uomo? Io sono vegetariano da 25 anni e vedo che può fare solo bene.
Giuseppe C. – Roma
La questione animale è una questione scientifica che rinvia all’etologia e a scoperte sorprendenti: gli animali sono più di quanto sembrano, hanno linguaggio, memoria, emozioni. Ma la questione animale è anche religiosa: rinvia alla creazione e, per il credente, a Dio creatore. Non soltanto l’essere umano, ma tutte le creature animate (piante e animali) e inanimate (cose, minerali) sono opera dell’azione creatrice di Dio e termine della sua Provvidenza, intesa come creazione continuata.
Questo è vero anche se scientificamente risultasse provata l’evoluzione. Nella complessa varietà dell’universo, la prima differenza è tra la realtà inanimata e quella animata; entro la realtà animata, la differenza tra l’essere umano e l’animale. La filosofia classica definisce l’essere umano come “animale razionale”, per dire che si collega all’animale e, insieme, se ne differenzia qualitativamente grazie al pensiero creativo.
L’insuperabile dignità della persona umana non toglie nulla alla dignità dei viventi non umani, al significato e valore che hanno in sé stessi. Non è essenziale dirimere la questione, posta recentemente, se gli animali abbiano o meno dei diritti. È, invece, essenziale che l’essere umano sia consapevole che ha dei doveri. È falsa l’idea di superiorità che legittima un certo disprezzo della natura nel suo insieme e degli animali in particolare. Alcune correnti letterarie e scientifiche (forse le più dominanti nella storia) hanno collocato spesso e superficialmente, da una parte, l’uomo ragionevole e, dall’altra, il bruto (dal latino brutus che significa stupido) per designare la bestia (da cui deriva “bestialità”). Anche certi pensatori religiosi hanno creduto di esaltare la trascendenza divina disprezzando la natura e prendendo le distanze dalla medesima.
D’altra parte, non c’è bisogno di promuovere gli animali al rango di umani per accrescerne l’importanza: non sarebbe che un modo per svilire loro e chi li ha creati. La varietà delle specie viventi forma un universo armonico, dove ogni creatura ha un valore in sé stessa ed è in rapporto all’altra. In questa prospettiva, sia la teoria dello specismo sia al contrario quella dell’uguaglianza tra uomo e animale non sono che espressioni, sebbene tra loro opposte, di disprezzo della specie animale. È necessario conoscere le caratteristiche di ogni specie per armonizzare i nostri rapporti con la natura, di cui l’uomo stesso fa parte, pur trascendendola.
In opposizione a una cultura utilitarista, la teologia riconosce che gli animali, prima di un valore strumentale, hanno un valore finale: sono un bene in sé; prima che all’uomo e insieme con lui fanno riferimento al creatore. Tale concezione delegittima luoghi comuni e prassi consolidate dove è evidente la concezione strumentale dell’animale: acquisire conoscenze specifiche e nuove tecniche chirurgiche con sperimentazioni che distruggono o mutilano l’animale; risolvere la questione trapianti con organi di animali; certe pratiche di allevamento e di macello. Per non parlare di consuetudini estreme che passano per normali: l’uso degli animali per sport e divertimenti di massa.
Il movimento animalista, pur con i limiti e indebite assolutizzazioni, ha contribuito a creare una nuova mentalità animalista che manifesta, per principio di riferimento, il rispetto che si deve all’animale. In tale prospettiva, il vegetarianismo sostiene che la razza umana, attraverso un graduale processo, smetterà di mangiare gli animali. Già nell’antichità, grandi filosofi teorizzavano l’astensione dalla carne per la semplice ragione che l’animale doveva essere lasciato vivere. La proposta non è priva di dati scientifici che provano la possibilità e l’utilità di una simile dieta, ma presuppone profondi mutamenti culturali.
La scienza ha intrapreso la strada dei trapianti di organi di animali biologicamente compatibili all’uomo. E un teologo ha motivato questo in nome di una superiore necessità. Non è una contraddizione per la Chiesa proclamare la dignità inalienabile della vita umana e poi sottomettere ad essa tutte le altre forme?
Nicola R. – Bari
Il pensiero tradizionale in tema di trapianti di organi da animale si potrebbe compendiare così: non vi sono particolari obiezioni morali, purché ci sia speranza di riuscita e non venga alterata l’identità umana e le funzioni essenziali della persona, per cui sono da escludere i trapianti di organi sessuali.
La convinzione di fondo è che gli animali hanno solo funzione strumentale: sono “cose”, non hanno diritti, e quindi l’uomo non ha doveri nei loro confronti. In tale prospettiva, l’ordine cosmico è come una grande piramide in cima alla quale sta l’uomo che rivendica un potere incondizionato sull’universo e su quanto esso contiene. Così si considera lecito usare le cose, la pianta e l’animale, la cui ragione di esistere è solo quella di essere a servizio, in vita e in morte, dell’uomo.
Il valore di tutte le creature
Tale convinzione è oggi messa in questione. Il rapporto uomo – natura va ripensato in termini nuovi. In particolare si deve rivedere la più ampia questione della sperimentazione animale e non solo quella dei trapianti. Bisogna riconoscere che ogni realtà ha/è al suo posto con un proprio valore e ruolo: piante, animali e quanto esiste hanno un valore di utilità, ma, prima ancora, un valore in sé e per sé. All’ordine cosmico di tipo piramidale, in cui l’uomo sta sopra e tutto il resto sotto, va sostituita una visione del creato in termini di globalità e interdipendenza. Il comportamento moralmente corretto può essere dettato solo nell’orizzonte dell’amore e della solidarietà. “Gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura…Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro”. (Catechismo della Chiesa cattolica. 2416).
L’uomo non ha solo diritti sugli animali, ma anche doveri di custodia nel superamento di ogni forma di violenza, spreco e abuso. “La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta…esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione (Catechismo n. 2415). E’ lecito allora sacrificare l’animale per il bene dell’uomo? La soluzione incondizionatamente possibilista di un tempo non convince. Il problema va considerato entro una nuova sensibilità etica. Innanzitutto “è contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita” (Catechismo n. 2418). D’altra parte, bisogna evitare di passare da un estremo all’altro: se prima contavano solo le ragioni dell’uomo, ora non devono contare solo quelle dell’animale. Bisogna conciliare, in teoria e in pratica, le ragioni degli uni e degli altri in una visione di interdipendenza e di solidarietà.
Sperimentazioni cliniche
Cosa si può fare perché la nuova cultura morale dia frutti fin da ora? Innanzitutto vanno riconsiderate le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali. Il Catechismo le dichiara “moralmente accettabili se rimangono entro limiti ragionevoli, perché contribuiscono a curare o salvare vite umane” (n. 2417). Tuttavia l’espressione “entro limiti ragionevoli” è facilmente strumentalizzabile. L’azione della Chiesa deve favorire traguardi ancora più rispettosi della vita non umana.
Attendibili dati scientifici smentiscono la necessità della sperimentazione animale per la ricerca medica, a favore di nuove e incruente tecniche. Inoltre una certa posizione scientifica nega valore probatorio all’uso degli animali, perché le esperienze compiute su una specie non sono senz’altro valide per un’altra. Bisogna pertanto rimettere in questione la connessione tra salute umana e sperimentazione animale. Le ricerche sul modello animale devono collegarsi all’etica e alla scienza: spesso non sono né morali né scientifiche, obbediscono soltanto a ragioni industriali e produttivistiche.
Il fenomeno del rigetto
In alternativa bisogna prestare attenzione alle sperimentazioni che si basano su studi epidemiologici, su culture di cellule e di tessuti, fino alla sperimentazione clinica dell’uomo sull’uomo, che è quella che ha permesso alla medicina di progredire. In breve, l’abolizione della vivisezione è una necessità scientifica, sociale ed etica di grande attualità, e va promossa in nome del progresso medico, di una ristrutturazione efficace del sistema sanitario, della nonviolenza e del rispetto della vita umana e animale.
Nel caso dei trapianti da animale va interpretato correttamente anche il fenomeno del rigetto. Il soggetto, si sa, non convive facilmente con l’organo di altra specie vivente. I ritrovati farmacologici per rimediare al rigetto potranno progredire, ma non risolveranno il problema, che è di natura psicologica. Il rigetto può essere condizionato dalla psicologia indotta dall’ambiente, ma anche questa appartiene all’uomo, a meno che non lo si voglia considerare estraneo ai fattori che formano il suo essere e il suo esistere.
In conclusione, per diversi fattori non si può dare per scontata la strada dei trapianti da animale. Forse quella da battere è la creazione di organi artificiali. Più ancora, alla scarsità dei donatori si può ovviare con un aumento di solidarietà tra gli umani. La scienza offre la possibilità di essere utili anche dopo la morte; perché non sfruttare questa occasione per il bene del prossimo?
In una parrocchia del Vicentino, per festeggiare l’acquisto di un organo, hanno arrostito un vitello di tre quintali. Non si potrebbe festeggiare senza mettere allo spiedo un animale?
Lega antivivisezione di Bassano
Il movimento animalista non perde occasione per mettere in questione vecchie abitudini e per richiamare, a volte in modo provocatorio, a una nuova sensibilità culturale ed etica verso gli animali e l’ambiente. Il messaggio è tutt’altro che estraneo alla coscienza cristiana. La verità della creazione domanda che si prendano sul serio non solo l’uomo ma anche le piante, gli animali e ogni realtà creata. Le creature, prima che valore strumentale, sono un valore in se stesse. L’uomo è signore del creato e, nello stesso tempo, parte del medesimo; in quanto intelligente e libero, è responsabile di se stesso e di tutto quanto esiste sicché ai diritti si accompagnano i doveri.
Le motivazioni etiche
Questa visione non risolve tutti i problemi concreti, ma offre un’adeguata prospettiva per affrontarli in modo sapiente, e con capacità di aderire alla verità anche se non subito praticabile. La risposta ai problemi concreti, come l’uso degli animali per scopi medici e per alimentazione, presuppongono una nuova mentalità che oggi comincia a essere compresa, almeno a livello teorico.
Il fenomeno del vegetarianesimo non è nuovo: diversi gruppi umani sono stati vegetariani di fatto, senza che si ponessero particolari motivazioni. Non è nuovo nemmeno il vegetarianesimo per motivazioni ideali o umanitarie. Nell’antichità grandi filosofi teorizzavano l’astensione dalla carne per la semplice ragione che l’animale doveva essere lasciato vivere. E’ nuovo invece il movimento vegetariano e la proposta di riformare, su motivazioni umanitarie ed etiche, l’alimentazione umana così da escludere l’uso della carne. Si sostiene che la razza umana, attraverso un graduale progresso, smetterà di mangiare gli animali. Si prevede che i passi da compiere sono tanti e di difficile realizzazione. Anzitutto si tratta di mostrare come l’alimentazione vegetariana abbia, dalla sua parte, corretti dati scientifici che provano la possibilità e l’utilità per l’uomo di una simile dieta. Il movimento vegetariano si prefigge di ottenere una prima sensibilizzazione attraverso la denuncia del modo crudele di uccidere gli animali per scopi alimentari. Si osserva che i mali legati alla macellazione non diminuiscono ma aumentano paradossalmente con il progredire della civiltà.
L’obiettivo di non uccidere
Tra le cause di questo imbarbarimento, sono le condizioni più complesse della vita urbana e i percorsi, sempre più lunghi, a cui vengono sottoposti gli animali dal pascolo al macello. Ovviamente non si tratta di uccidere gli animali in modo umano. L’obiettivo finale mira a non ucciderli affatto: “Se smettete di comprare…smetteranno di uccidere”. In questa direzione, si denuncia con forza l’innaturalità dell’allevamento degli animali per scopi alimentari. La vita degli animali condannati al macello – si riconosce – è qualitativamente inferiore a come sarebbe se gli animali avessero un altro destino. Il fatto stesso che un animale sia destinato a essere allevato per essere macellato lo toglie dalla categoria degli esseri viventi e lo pone tra gli oggetti utili all’uomo. Tutto questo è indifferente dal punto di vista etico?
Il rispetto della vita
E’ impossibile non condividere la motivazione umanitaria ed etica che è alla base del movimento vegetariano. Non si tratta infatti di confessare una lontananza ideologica dall’animale, come avviene in alcune sètte, dove la prassi vegetariana è motivata da un rifiuto, istintivo di ogni sostanza animale considerata quasi come cosa impura. Il movimento vegetariano, invece, fa appello al rispetto della vita dell’animale. Rispettare la vita significa rispettare la bellezza e la santità della vita negli altri come in noi stessi, e lottare per quanto è possibile per garantirne il completo sviluppo.
Certamente il cambiamento non si avrà dall’oggi al domani, sarà frutto di una maturazione della coscienza collettiva. Il passaggio a una dieta più civile – come viene chiamata – non sarà immediato, se pure ci si arriverà. La festa, a spese di quel vitellone di tre quintali, che ha contribuito al pagamento dell’organo della chiesa del paese, non può essere semplicemente censurata. D’altra parte, non si può nemmeno scartare (come un’idea guastafeste) la proposta di fare festa e lasciare vivere l’animale. Il dialogo e il confronto, se condotti con civiltà e amore della verità, possono indicare quello che, già adesso, è possibile fare perché la causa degli animali divenga una causa umana. La profezia di una dieta alternativa deve collegarsi alla ragionevolezza e questa, a sua volta, deve mostrarsi capace di pensare e prevedere idee e abitudini nuove.
Ambientalisti, giornali e televisione stanno facendo un culto degli animali, e la mia confusione aumenta quando alcuni uomini di Chiesa danno l’impressione di sostenere questo culto. E’ vero che c’è stato san Francesco ma è altrettanto vero che Dio mandò le quaglie per sfamare gli ebrei nel deserto.
Luigi M. – Fosciandora (Lucca)
La Sacra Scrittura, fin dalle prime pagine, parla della bontà, della bellezza del creato e delle sue creature. L’essere umano, uomo e donna, è al vertice, lui stesso è creatura non creatore, ha il compito di custodire, coltivare e portare a compimento se stesso e la creazione secondo il disegno del Creatore. La verità della creazione insegna che nulla di quanto esiste può essere compreso adeguatamente se non in riferimento al Creatore. La verità della creazione fonda e giustifica il rispetto, anzi l’amore, che si deve alle creature.
Rapporto squilibrato
La crudeltà verso gli animali suscita riprovazione e condanna morale. Ma anche certe manifestazioni, cui fa riferimento il lettore, rendono perplessi, sono sproporzionate. No, non siamo ancora al culto della bestia, si tratta piuttosto di sentimentalismo che fa pensare a una sorta di confusione tra il mondo umano e il mondo animale, come se l’animale sia un partner per l’uomo così da vivere un rapporto quasi in alternativa o in sostituzione a quello propriamente umano. In questo squilibrio va posto anche il cosiddetto addomesticamento degli animali, almeno nelle modalità delle società urbanizzate. Gli animali sono costretti a vivere in un ambiente innaturale, e tali sono le case e le strade delle città.
Comunque nel rapporto uomo-animali si registrano ben altre contraddizioni. Se si guarda oltre il nostro Primo Mondo, non si fatica a osservare che mediamente il vitto di un cane italiano è meglio di quello di un bimbo africano. Per gli animali domestici si spendono miliardi: una fiorente industria, un commercio, una pubblicità prosperano sugli animali. Non si può liquidare questo problema con il dire che così si procura anche lavoro.
Di certo il disordine non sta in quello che in positivo si fa per gli animali, ma in quello che non si fa per le persone, senza accorgersi della contraddizione. C’è evidentemente qualcosa che non va: si è perso il centro. E questo è l’uomo nel suo rapporto costitutivo con Dio. A partire da qui, si individua il giusto equilibrio con tutte le realtà. Quando si perde di vista il centro, allora ogni realtà può trasformarsi in assoluto e così si corre il rischio di dare culto (false assolutizzazioni) agli animali. Se consideriamo i problemi inerenti alla maternità umana e allo scempio che troppo spesso si fa della vita non ancora nata nei vari laboratori della genetica e della fecondazione in vitro, emerge una crisi di sapienza in fatto di cultura della vita. Si dimostrano solidarietà e rispetto verso gli animali, e questo è bene, ma poi si negano rispetto e riconoscimento agli embrioni umani, al nascituro, alla vita in età avanzata o malata o in qualsiasi modo handicappata.
Doveri verso la natura
L’annuncio cristiano della bontà e bellezza delle creature diviene subito denuncia di quanto danneggia e distrugge la vita e l’ordine dell’universo. La cultura occidentale, fino ad un tempo recente, non avvertiva particolari problemi etici nel rapporto con la natura e con gli animali. Si consideri, ad esempio, l’ambito delle sperimentazioni condotte in modo selvaggio e senza plausibili motivazioni che giustifichino la ricerca biomedica. L’uomo non crede di avere doveri, ma solo diritti. La voluntas dominandi è accresciuta oggi dalle nuove possibilità di intervento. Oggi sperimentiamo le conseguenze di una cultura infausta che ha guidato la cosiddetta crescita economica anche a costo del bene dell’ambiente, delle piante, degli animali.
Il movimento ambientalista e animalista ha il merito di richiamare all’attenzione collettiva il valore dell’ambiente, patrimonio dell’umanità, e, per il credente, dono di Dio all’intera famiglia umana di ogni tempo. La nuova sensibilità, proposta a volte in modo aggressivo e anche unilaterale, ha contribuito ad un’inversione di rotta. Non è importante dirimere la questione se gli animali abbiano o meno dei diritti. Importante è che l’uomo si renda consapevole che ha precisi doveri, e non soltanto diritti da rivendicare. La vita non è produzione dell’uomo, non l’ha creata lui, e quando l’ha distrutta non può più ricostruirla. Le piante e gli animali, e quanto esiste, hanno certamente una ragione di utilità rispetto all’uomo, ma in primo luogo essi hanno un valore finale, sono un valore in sé e per sé.
La testimonianza di san Francesco
Il pensiero e la testimonianza di san Francesco sono più efficaci di ogni discorso per acquisire finezza di sentire verso la natura e gli animali, senza indulgere a inutili smancerie.
Francesco sapeva guardare al Creatore, e così gli si palesavano la bellezza e la grandezza delle creature. Non sentiva il bisogno di portare gli animali in chiesa, il loro ambiente e la loro chiesa sono il bosco, i prati, il mare. Egli voleva bene a tutti, conosceva ciascuno nella sua particolarità e per tutti aveva una raccomandazione: ai pesci di farsi furbi e di non lasciarsi pescare. La testimonianza francescana non offre di certo la soluzione bell’e fatta dei problemi che si pongono alla coscienza del singolo e della collettività in tema di animali, non dirime l’ampia casistica di quanto è giusto/sbagliato nel rapporto uomo-animale. Aiuta tuttavia a nutrire rispetto verso quanto è stato creato da Dio; distoglie dal culto delle creature, ma, insieme con loro, conduce a dare, in pienezza di gioia, lode e culto a Dio solo: “Laudato sie…cum tucte le tue creature”.