Sezione: Racconti
Animalia
Giuliano Sadar
All’inizio, la solita obiezione. C’è tanto da fare per gli umani, che i “non umani” possono pure attendere. Detta così, fila liscia che è un piacere. E l’animalismo un passatempo per borghesi annoiati e disattenti ai veri problemi del mondo. In realtà, i meccanismi di questo ragionamento sono ingenui (nel migliore dei casi) o disonesti (nel peggiore) quanto quelli per cui è necessario abbracciare la filosofia del transgenico per non far morire la gente di fame. O quelli per cui i problemi del sottosviluppo sono legati a una scarsa produzione di risorse e non alla loro iniqua distribuzione. Subito un esempio per chiarirci: un manzo adulto ogni giorno consuma una quantità di vegetali dodici volte superiore a quella di un umano. Lo sviluppo dell’industria della carne richiede quindi uno sfruttamento di alimenti vegetali che da soli permetterebbero di sfamare un miliardo di persone. I milioni di ettari di foresta tagliata nel terzo mondo per farne pascoli (esercizio profittevolissimo per le multinazionali degli alimenti), sono terra tolta ai contadini, costretti ad emigrare nelle città e a lavorare nei macelli, e distruzione della biodiversità. E quando ciò non è possibile, la logica del profitto consente in Occidente allevamenti intensivi (di polli, bovini, suini, visoni, struzzi, cavie da sperimentazione) dove la manodopera è ridotta al minimo e il rendimento cadaveri/ora è massimo. Catene di montaggio di morte dove gli animali, imbottiti di tranquillanti, estrogeni e altre schifezze, vivono nella sofferenza nell’attesa della fine. Catene di montaggio. Di morte. Dove le urla di dolore e disperazione dei non umani vengono vissute con abominevole distacco della specie superiore. E’ breve attesa per i vitelli, ad esempio, lasciati anemici per soddisfare le nostre voglie da culi pieni di carne delicata e bianca, che lasciano nella disperazione le loro mamme. Sì, le mucche. E allora? La morte più o meno atroce, dipenderà dal buon cuore degli umani. I quali poi si ammaleranno di tumori all’apparato digerente o di patologie cardiocircolatorie per le loro gozzoviglie di grassi animali. Discorsi distanti? No, vicinissimi. Li vedete dentro la vostra bistecca o nel vostro panino di mortadella. O nella confezione a basso prezzo nel superdiscount.
Per un animalista (parola stupida, come se non fossimo tutti animali…), il problema sta a monte: l’animale è essere capace di provare dolore, paura, angoscia, condizioni necessarie e sufficienti per venir rispettato come essere vivente. Tutto diverso dallo specismo stile WWF. Ma l’obiezione, anche qua: l’uomo ha un livello di coscienza e di arbitrio che lo rende diverso e superiore. Attenzione: è la stessa logica che fece dire ad altri umani che i nati “male”, i portatori di handicap non servono, quindi vanno eliminati. E così i vecchi, e così le donne, e così i diversi…
E’ questo il nodo che sinora non è stato sciolto. I diritti degli uomini, in gran parte del mondo sono traditi e vilipesi. Ma i diritti degli animali non sono riconosciuti dagli uomini, soprattutto gli uomini sfruttati. Perché il nemico è il medesimo. E il pensiero “democratico” accusa su questi temi un ritardo di anni-luce. In questo, figliato della stessa tradizione giudaico-cristiana che mette l’uomo appena sotto Dio. Lo sfruttamento degli esseri non umani è quindi legato alle stesse logiche di dominio di quello degli umani. E l’imbarbarimento dei rapporti fra umani frutto dell’economia di mercato, ha portato a un imbarbarimento dei rapporti fra umani e animali.
Altro esempio? I pellerossa. Annichiliti, più che sterminati. Stragi, certo. Ma la loro eliminazione come soggetto storico e sociale, è passata attraverso lo sterminio dei bufali, che, all’arrivo dei primi colonizzatori bianchi, popolavano le terre dell’Ovest americano. I pellerossa avevano con i bufali un rapporto di stretta simbiosi ed ecosostenibilità. Ne cacciavano e ne uccidevano quel che bastava per il loro nutrimento, usavano il pelo per scaldarsi, le ossa per costruire utensili. E li veneravano come fonte di vita. Lo sterminio, sistematico e mirato, operato dai cacciatori bianchi a metà ‘800 (nell’ordine dei milioni di capi) ha tolto alle culture pellerossa identità e autosufficenza economica e alimentare. Tanto che poi è stato facilissimo per i colonizzatori estendere la dominazione totale su terre spogliate dei loro naturali abitanti “non umani”.
Oggi la forbice che separa la percezione dei diritti umani e i diritti “non umani” si è amplificata a dismisura. Accompagnata da una allucinante schizofrenia: si sprecano le professioni sul rispetto per gli animali, si piange per il proprio cagnolino morto, magari per cause naturali, mentre l’animale della cui carne ci si nutre, non esiste. Non ci si cura di quanto sia stato sfruttato e umiliato, malnutrito quando era in vita. “Se i macelli avessero i muri di vetro, tutti diventerebbero diverrebbero vegetariani”, fa un detto. Ma prima dei macelli, punto d’arrivo cruento della filiera di morte, vengono gli allevamenti. Alle galline ovaiole, vere e proprie macchine da produzione di uova, tenute vive sino a quando serve, stipate in loculi ridottissimi, una vicina all’altra, vengono somministrati calmanti e, spesso, tagliato il becco perché non si feriscano fra loro. I pulcini diventano polli in 40 giorni, invece che sei mesi, perché vengono tenuti in ambienti con luce accesa e imbottiti di antidepressivi e antibiotici. I pulcini non considerati “idonei” a diventare polli o le pulcine non considerate idonee a diventare galline ovaiole, vengono triturati vivi appena nati, e vanno a costituire materiale per i mangimi animali: che per più di dieci anni sono stati somministrati ai bovini, erbivori, costretti a diventare carnivori per sopravvivere. Con il placet dei baroni della zootecnia. In ossequio al falso mito, circolato per anni in Italia, che la ricerca deve coniugarsi all’industria per avere un senso. Esistono allevamenti di fagiani “pronta caccia”, liberati poi in natura per diventare bersaglio dei cacciatori delle aziende faunistico-venatorie (all’Arcicaccia e a Legambiente non fischiano le orecchie?), e non sopravvivono neppure la prima notte, per il disappunto dei cacciatori, perché muoiono di stenti, o predati, dato non riescono neanche a volare sugli alberi, perché un albero non sanno neppure cosa sono. Una cifra: solo in Italia nel 2000 gli allevamenti di fagiani “pronta caccia” hanno “prodotto” più di due milioni e mezzo di animali.
Tocchiamo solamente di striscio l’argomento della vivisezione e degli esperimenti su animali. L’obiezione anche qui è tanto ovvia quanto superficiale, e dice che con il “sacrificio” di animali permette la messa a punto di medicinali e cure utili per l’uomo. Sarebbe obiezione su cui fermarsi almeno a riflettere, se non fosse che esistono modelli vivisettivi virtuali (troppo costosi…) e se non fosse che gli esperimenti vengono fatti soprattutto per testare l’allergenicità di saponi e bagnoschiuma, di prodotti per la casa, di prodotti petroliferi. Proprio in questi giorni è nel mirino di una campagna animalista la Huntington Life Sciences, società anglo-americana che effettua esperimenti su animali su commissione. Alla Hungtinton muoiono circa 180.000 animali all’anno. Il “giro di affari” è sterminato. Per dare un’idea, solo in Italia, secondo la SHAC (Stop Hungtinton Animals Cruelty, sito www.shac.net), la Hungtinton Life Sciences ha o ha avuto come clienti Aventis, Bayer, Biotech Italia, Bristol-Myers Squibb BV, Chiron, Dow Corning Corporation, DuPont, DuPont Pharma, Eli Lilly, Glaxo Wellcome, Merck, Merial Italia, Monsanto, Novartis, Parke-Davis, Pharmacia & Upjohn International, l’Istituto di Ricerca di Biologia Molecolare, Roche, Searle Farmaceutici, Shell Italia, Smithkline Beecham farmaceutici, Yamanouchi Pharma.
Gli animali sono sempre più merce da consumare, priva di una propria dignità, immessi in mercati lucrosissimi e globali. Il mercato delle specie esotiche e selvatiche a livello mondiale è minore come giro d’affari solo al traffico mondiale di droga. E anche qui, il massimo della schizofrenia. Ci si scandalizza del leone in gabbia nella villa del camorrista, per l’orso ammalato nello zoo (altro discorso delicato, che qui non tocchiamo), ma non ci si volta neppure per le tartarughe che da decenni vengono importate a milioni dagli allevamenti americani della Louisiana per venire a morire nelle vaschette di casa nostra. Sino a qualche anno fa, la percentuale di sopravvivenza al primo anno di vita era di una su dieci. Sono animali a sangue freddo, difficili da allevare con successo in cattività. Ma questo gli allevatori, gli importatori e i gestori di negozi di animali non lo dicono. La storia delle tartarughe d’acqua vendute come animali d’affezione è sintomatica per capire come funzionano gli interessi nel mercato globale. Dagli anni ’60 sino a quattro anni or sono, dagli Stati Uniti, via aeroporto di New Orleans, arrivavano in Europa sino a 8 milioni di tartarughe “dalle orecchie rosse” dette così per una striscia rossa che disegna i lati del loro muso. Dopo che, finalmente, le associazioni animaliste e conservazioniste statunitensi erano riuscite a far entrare le “orecchie rosse” nell’Allegato II CITES, lista che raccoglie gli animali dichiarati a rischio di estinzione e quindi protetti, la Comunità europea nel 1997 ha bandito l’importazione in Europa di questi animali. Ma gli allevatori hanno facilmente aggirato la norma, catturando e mettendosi ad allevare specie ibride, ipocritamente chiamate “cugine” delle “orecchie rosse”, liberamente esportabili in tutto il mondo perché non facenti parte della lista CITES. E questo vale per tutti i tipi di rettili, gli iguana, i camaleonti, vittime ultima sarco-moda dell’animale “strano” in casa.
Questo scritto, inevitabilmente superficiale, ha trattato solo una parte dei problemi. L’uomo – parafrasando una felice espressione usata dalla Lega Antivivisezione in un suo manifesto – dovrebbe finalmente dichiarare la pace agli animali dopo aver fatto loro guerra da secoli. Ma l’uomo, specie nel secolo appena trascorso, non ha dichiarato guerra agli animali per gioco. Gli animali sono oggetto di sfruttamento. Il loro sfruttamento è direttamente proporzionale al profitto degli umani. Gli animali non hanno sindacati. Solo gruppi spesso considerati dai più – anche a sinistra – manipoli di sconsiderati acchiappasogni.
E invece le logiche dello sfruttamento degli animali (come cibo industriale, oggetti di affezione, cavie, oggetti di divertimento, fornitori di materiali per oggetti spesso inutili) sono strettamente, drammaticamente correlate alle stesse logiche di dominio proprie dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Giuliano