Sezione: Racconti
Storia di A
Violet
C’era una volta, e sempre ci sarà,
un prato verdissimo e fragrante. L’erba alta era di mille sfumature di verde, ed in quel verde gli
insetti dai colori più belli e fantastici riposavano sugli steli, volavano tra fiore e fiore e si arrampicavano sul culmine del più alto per ammirare la vista di quella immensa distesa di colori
e profumi. Il cielo all’alba ed al tramonto vestiva le livree più incantevoli che si possa immaginare,
a volte scegliendo la parte di sfondo artistico per la bellezza di tutti i fiori del prato, altre realizzando tele variopinte di tale suggestione da far svanire tutto il resto integrandolo nell’insieme. L’aria era profumata e lieve, buona da respirare e morbida sul corpo. C’era la giusta quantità di pioggia e la giusta misura di sole, l’estate non era mai rovente così come l’inverno mai crudele.
Ai margini di un ricco bosco, abitato da molti animali, e che poi degradava dolcemente verso il
prato ,v’erano i nidi-giaciglio di una sorridente famiglia di maialini: mamma soprattutto, perché era
sempre con loro, papà, a volte assorto in lunghe meditazioni sulla natura e spesso in solitarie passeggiate, ma anche in bagni e giochi con i piccoli,3 maschietti ed una femmina. E la nonna,
specialista in squisite ghirlande di bacche, frutti, semi e teneri germogli che intrecciava per essere degustate nei giorni di festa, ovvero un giorno si e l’altro pure perché in questo luogo non c’era nulla da espiare e tutto da accogliere e godere, qui la vita era semplice e regalava a piene mani meraviglie ogni giorno: gli occhi sapevano stupirsi , i cuori entusiasmarsi ed emozionarsi e le menti… osservavano in silenzio ricollegandosi all’interezza dell’universo.
La cosa che preferiva il nostro eroe, un maialino né troppo largo né troppo lungo, né troppo zitto né di troppe parole, né mangione né dietista, la cosa, dicevo, che amava di più (in verità UNA delle cose perché lì da vederne e farne di belle ce n’erano proprio tante) era liberare gli isidori.
E cos’è mai questo, mi chiederete?
Nasceva in quel magnifico prato un assai particolare tipo di fiore. All’apparenza senza nulla di notevole, si presentava con un gambo di altezza media, forse un po’ più largo della media, con delle striature a torciglione molto intense e quasi come “in tensione”.Vero è che dette striature si notavano solo ad uno sguardo approfondito in quanto l’isidoro volante cresceva sempre nel folto del prato ed il suo stelo era a malapena visibile. Anzi,a guardar meglio in quel caos di filamenti verdissimi ce n’era sempre uno che non apparteneva alla pianta ma si attorcigliava torno
torno al gambo…e questo aveva il suo perché…il fiore appariva serrato con i suoi lunghi petali all’insù anch’essi attorcigliati -ma in una spirale di senso contrario a quella del gambo- attorcigliati e chiusi, come un fiore di zucca nella sua pastella prima di volare nell’olio bollente.
Il nostro maialino, lo chiameremo A, come la lettera che sui giornali degli annunci dà la precedenza, ispezionava con cura il prato prima di scegliere l’isidoro che quel giorno, a suo insindacabile giudizio, era pronto (diceva così come per dire maturo). A volte sceglieva un’alba dalla tavolozza di colori delicati, altre il mezzogiorno giallo e brillante come sfondo, raramente la sera perché la riteneva troppo poco lucente per gli isidori, e con gentilezza e quasi reverenza avvicinatosi al fiore prescelto iniziava a mordicchiare alla base il filo d’erba avvolto allo stelo, con precisione ed altrettanta delicatezza presto ne aveva la base in bocca ed a quel punto -l’operazione più difficile- iniziava a tirarlo lievemente ma con costanza per farlo “sfilare”dal gambo; non appena sentiva il cedimento aumentava in progressione geometrica la velocità dello “sfilaggio” fino al culmine dell’impennata finale: un ultimo strappo e l’isidoro svolgeva velocissimamente lo stelo e contemporaneamente s’innalzava, dritto come un fuso, alto nel cielo, e la corolla, in una girandola impazzita e in direzione opposta allo stelo, dispiegava i suoi petali dagli infiniti colori e sganciava, come un fuoco d’artificio a fontana, i semi custoditi al suo centro proiettandoli a kilometri di distanza in una pioggia dorata colma di profumo per tutto il prato…
Che spettacolo! Che magia!!
A riconosceva con istinto sicuro il tempo e l’ora giusta per ogni singolo isidoro e non falliva mai.
Alla magia e poesia della natura faceva specchio poi la dolcezza della sua famiglia, la presenza chiara e saggia della mamma, le buonissime…ehm…bellissime! ghirlande commestibili della nonna
e le passeggiate meditative con il papà. In verità i fratellini usufruivano di tutto tranne quest’ultimo punto, si stancavano ed annoiavano di tutto quel lento silenzio e spesso A si ritrovava solo accanto al padre, nelle loro peripatetiche deambulazioni, ma questo certo non gli dispiaceva…
Di tutte le infinite cose che nel silenzio il papà gli aveva insegnato quella che più lo incantava era
la luce ,quella luce bellissima che avvolgeva tutt’intorno piante, animali ed ogni cosa creata, e che in certi momenti, a seconda del loro sentire interiore, emanava anche profumi! Oh, bellissimo quando la mamma sorrideva e lo baciava sul muso: rosa, oro e raggi verdi e profumo di rosa e viola, o quando il papà con la coda dell’occhio lo vedeva incamminarsi dietro di lui, giallo vibrante ed azzurro ed odore di ginestra. E poi gli uccellini piccoli appena nati nei nidi, luce bianca ed arcobaleni, odore di primule e miele, le lepri che correvano giocando, lampi di giallo, verde e azzurro e odor d’erica, il gatto selvatico nella notte, lampi blu ed argento, odore di terra e muschio…
Quanta bellezza profonda, silenziosa e sottile circondava la sua vita.
E che pace fra tutti gli animali…
Ogni sera addormentandosi pensava quale mistero meraviglioso fosse la vita…e chissà quali magie avrebbe scoperto domani…I raggi di luna , quando era piena, giungevano fino al suo letto ed A porgeva il musino per farsi da loro baciare addormentandosi nella certezza che la luna era come la mamma: guida, sapienza e rifugio.
Uno di quei domani A era tutto intento ad osservare un ‘isidoro cresciuto un po’ appartato dal prato,
quasi ai margini di una striscia di terra secca, lontana dal bosco. L’odorava cercando di saggiarne il punto di maturazione. Così assorto, sullo sfondo azzurro del cielo cominciavano a formarsi colori inusuali come il rosso cupo, grigio ferro, nero, e lampi cremìsi in una cappa densa, oscura, soffocante, colava, avrebbe detto, quasi dal cielo sull’erba, simile a pioggia appiccicosa… fu risvegliato infine da un’odore nauseabondo, dolciastro ma in verità amarissimo e come striato di…grida…se così si può dire di un’odore… si sentiva stordito ancor più che meravigliato, questa volta da quanto sentiva e vedeva, ma non ebbe il tempo necessario, ed ahimè neppure i parametri, per decrittare quelle soffocanti stranezze: pelli di mucche e vitelli insanguinate procedevano calpestando ogni cosa nel prato in una marcia inarrestabile, senza rispetto alcuno facevano strage di fiori ed insetti,dei piccoli vermi e delle lumachine, foglie vellutate e …gli isidori..! Isidori ancora nemmeno acerbi, nemmeno ancora del tutto formati… “Santi colori e profumi, ma… cos’è questo..?”
Non aveva ancora terminato la sua domanda interiore che un pesante cesto, così gli parve, di metallo gelido, dall’alto gli calò addosso… le mucche insanguinate avevano anche un resto di corpo, e altre 2 zampe oltre a quelle di cadavere di mucca, più in alto, e con lieve pelliccia, sembrava, che lo rovesciarono a forza zampe all’aria dentro quel cestino… vide la volta del cielo, bellissimo, azzurro cupo… che un attimo dopo si chiuse pesantemente su di lui con sbarre di ferro.
Seguì uno strapazzato sballottio e dalla sua prigione, da un’altezza innaturale e mediana rispetto al corpo dei zampe di cadavere, vide corpi straziati per tutto il prato, e il sangue di piccoli e grandi animali, poi i corpi senza vita dei suoi 3 fratellini (non riusciva più a mettere bene a fuoco la vista e non trovava più il suo respiro) fino a giungere gabbia a gabbia, muso a muso con suo padre, ferito ed ormai quasi morto… si guardarono negli occhi, quelli di A increduli di dolore e terrore, quelli di suo padre che cercavano nel lungo tunnel dell’agonia una traccia di sorriso per lui come ultimo saluto… Svenne.
“ Cemento! Si chiama cemento, e quest’odore che ti ulcera il naso e arrossa gli occhi è l’acido disinfettante. Ai zampe di cadavere, come li chiami tu, piace tenere pulito, sai. E il pappone che schifi serve a farti ingrassare velocemente bello mio, si… aspetta e spera…guarda come ti sei ridotto in 3 mesi! Certo che come maiale non vali proprio nulla! Sembri un pollo tanto sei mingherlino ormai, hi hi hi!un pollo!! beh almeno a te troncano solo la coda che quelli…ci rimettono subito becco e 1 ala, per lo spazio, che qui al confronto sei in una suite imperiale ah ah ah! imperiale..!
E certo che c’hai le zampe gonfie e piene di ferite non siamo mica sull’erbetta carobello qui, qui si risparmia, qui si va all’utile, che nido, che cielo, che mamma!!! Più siete e meglio è. Siete qui per mangiare, mangiare e mangiare, e velocemente prego che non c’è tempo da perdere, mangiare.. fino alla morte..hi hi hi! Per poi essere mangiati, e da qualcuno che poi…morirà! Ah ah! E’ questa la catena alimentare, hi hi catena!! Una bella catena di ferro, e di dolore e di disperazione!
Del resto altrimenti a che varrebbe morire? Questo è il guadagno, questo il progresso!!!”
Tutti i giorni il topo andava da A, aveva scelto lui come platea dei suoi monologhi apocalittici, il suo accanirsi nel grottesco, il suo strillare vano -che in quell’inferno di sbarre stipate, tanfo insopportabile di feci urine e muriatico, luce al neon e grugniti disperati, quelli strilli non si udivano nemmeno nel silenzio terribile e senza ossigeno, che a quel caos si alternava, come il respiro di un
coma, di chi non conosce più vita e attende solo la morte. Non c’era spazio per udire più nulla, ne vedere, ne sognare-.
Lontano, da molto lontano, come da dentro un tunnel pesante imbottito di ovatta A, a volte, agganciava il ricordo di sé stesso che sognava i raggi della luna, e piangeva e pregava, pregava quei raggi di una possibile seppure invisibile luna, pregava, pregava intensamente, dal ghiaccio del suo dolore:
“possa io risvegliarmi…possa io risvegliarmi..possa io risvegliarmi…”
“Hei scheletrino, la talpa. La talpa soltanto ti potrebbe salvare. Lo sai, fra 5 giorni ti ammazzano.
Eh prima, molto prima del tuo tempo, ma tu non mangi nulla! E ormai sei pelle ed ossa. A che diavolo servi? Occupi un posto tu! 20x60cm., sono stati pensati per :2 prosciutti, bistecche, costate,
spuntature, spazzole, cinte, un paio di borse forse con i ritagli ci rientrano pure…E non si sprecano,
no! non si sprecano 60cm. per un “gandhi maiale”, ma cosa credevi di fare, eh? Il rivoluzionario?
Hi hi hi… Mi fai pure pena, sai, tutto il mondo mangia cibo di merda e tu ti rifiuti di mangiare il tuo pappone solo perché è VICINO alla merda -che tra l’altro è la tua-…!
Ma falla finita! Non sei mica nato capace di vivere tu! Hi hi hi.. infatti ora t’ammazzano..!”
“Hei Gandhi, ancora non l’hai capita? Ma guarda questo damerino dell’ideale suino… Aò sveglia!!
Tra 4 giorni sei morto!”
“ Gandhi… oh maiale guru.. mancano 3 giorni oggi e mi dispiace ma io non posso restare a godermi la tua esecuzione… non mi è mai piaciuta la luna piena a me…troppa luce, senza buio a me mi vedono…e poi? Dove la ritrovo una manna come questa? Pappa e casa gratis e poi di giorno me ne vado all’aria, mica sono un cadavere in catene come te, io! Hi hi hi, te lo immagini… il prosciutto di topo..ha ha ha! E chi se lo mangerebbe poi? Dicono pure che trasmettiamo i virus..! Eh caro mio, io sono un topo, un TOPO, il re degli animali! Vi vedremo tutti morire, noi topi, tutti, stivali di cadavere di mucca compresi -che poi si chiama pelle amico mio, pelle! Ma che ti stò a spiegare, poi!- moriranno tutti anche loro, certo, i signori “uomini” moriranno, e resteremo solo noi
I TOPI a governare il mondo! Ah Ah!..”
“Hei Gesù Cristo dei maiali, guarda che manca 1 giorno alla luna piena. Ascolta bene, ascoltami bene bambinello, dopodomani ti ammazzano quindi ti resta solo stanotte. Sei pure fortunato, forse, che la talpa passa solo la notte di luna piena qui, eh eh eh! E’ una talpa vecchissima… eh, una volta, quando era giovane, ne salvava sempre qualcuno! Ma allora era forte…e scavava buche grandissime!…ora…
bah, tu sei così grugno e ossa che potresti pure infilartici nei suoi tunnel…
Insomma ossetto non ci perdi niente a provarci, sentimi bene, funziona così:
luna piena, guarda il corridoio sterrato proprio accanto alla tua gabbia, confini con fuori tu, lo vedi che hai culo? A guardarti non si direbbe, hi hi hi! Allora, corridoio sterrato, dalle 11 a mezzanotte mettiti lì, tanto scivoli sotto la sbarra prima di terra che è pensata per bloccare un maiale vero, no
la pulce che sei e ci passi sotto benissimo. Scivola fuori e mettiti in linea col corridoio sterrato. La talpa passa di lì, passa SEMPRE, ogni luna piena. Anche domani verrà. Vedrai formarsi una galleria veloce, hum…beh, diciamo abbastanza veloce, -meglio così del resto che veloce magari non ce la fai nemmeno tu- mettiti in linea e lei si scontrerà con te. Guarda che è cieca!
Hi hi hi…GUARDA che è CIECA, ah ah ah! Insomma lei ti sbatte contro, si accorge che ci sei…
POI… poi…prega il dio maiale se ce l’hai e…lascia fare a lei.
Vado, non dirmi grazie che per lo sforzo poi muori ora, e non è il caso. Tanto io morto non ti avrei potuto vedere…e allora..che ci guadagnavo? Tanto vale che ti liberi! Se ce la fai… Hi hi hi!
Beh, allora, come si dice in teatro…MERDA! Ah ah ah!!!”
………………………………………….Luna cara, luna piena
Sciogli tu la mia catena
Luna piena, luna buona
Dammi tu la vita ancora……………………………………………………….
Oh, mamma! Mamma,mamma, mamma dolcissima! Lo sapevo, lo sapevo,
che tu saresti venuta a salvarmi! Mamma, mamma adorata, la più sapiente dei sapienti,
madre segreta, madre silenziosa, mamma cara, raggi di luna, sei sempre con me!
La luna indossa le lacrime di A ed A diventa rapido e leggero, vola, vola dietro alla talpa salvatrice,
e correndo nelle sue gallerie dentro la terra attraversa tutto l’immenso capannone dell’allevamento,
la strada, il paese, la città…tutta la terra…e riemerge… nel bosco.
La terra…la terra è.. finita… Talpa…talpa! …dov’è?… cough,cough… non c’è più terra…e questa… questa cos’è? …che gelo…che fresco! ….aria…. ARIA, ariaaaaaa, aria freschissima!!! Aria di alba… aria di…bosco! Oh, talpa, talpa amatissima,talpa coraggiosa! Mia salvezza e …rinascita! Dove sei? Talpa, talpa rispondi! Ma ..hei…stai male? Che hai? Che succede…ancora…
“Acqua… caro non preoccuparti, solo portami all’acqua… ho finito,ora. Tu sei il mio ultimo passaggio, il più importante,sai?…si.. .questo ben presto lo saprai… tu, TU sei molto importante, ricordatelo, non lo dimenticare mai… tutta la mia vita…per te… per portare te… Eccoci…il fiume…
non hai mai visto una talpa nuotare? …in effetti…vedi… io stò solo…andando…”
“ tu sei la differenza, tu sei la luce nuova, tu sei la forza… TU …non dimenticarlo!”
La talpa scivola via.
Un po’ sono lacrime e un po’ l’acqua fresca del fiume. Gocce su tutto il corpo di A, esausto, ora addormentato nel bosco. L’erba soffice è paradiso della pelle e gli odori buoni e familiari gli consentono di abbandonarsi e respirare con fiducia, come da tanto, tanto, non sapeva più…
Gocce come cristalli multicolori sotto la luce del giorno che nasce, cristalli attivi, accesi dal sole.
Sole acqua terra ed aria curano A, loro figlio, ribilanciano il suo equilibrio, gli restituiscono forza, lavano via l’orrore…
“Grumpf…” Baba-yaga esaminava con concentrata attenzione quel mucchietto di ossa e pelle rosa perso nel sonno. Emanava una luce così completa ed intensa. Un’essere purissimo, un’aura quasi perfetta! E dalla sua grande ferita, ancora aperta, scaturiva solo luce d’amore e coraggio.
“Humpf…”I suoi occhi socchiusi a vedere lontano erano ormai solo 2 spilli rossi…
A nel suo laborioso risveglio sognava lucciole e farfalle, un caleidoscopio che ruotava lento in
figurazioni stroboscopiche bianco su crema. La testa sembrava girare… o forse era il battito delle farfalle… le lucciole invece, bianchissime, pulsavano come stelle lontane… piacevole… eppure…
gli sembrava d’essere come sull’orlo di un eterno sorridente svenire.
Prima confusi, poi sempre più nitidi, all’orizzonte di tanto sfarfallìo si disegnarono dapprima 2 puntini lontani, poi mano a mano, sempre più precisi, rossi come lava incandescente e sempre più… penetranti… 2 frecce di fuoco… 2 laghi di metallo fuso… 2 crateri accesi!
A spalanca gli occhi ed in un solo istante mette a fuoco chiarissimo a pochi cm dal suo un’enorme muso di cinghiale.
“Era ora” disse una voce profonda “Dunque…grumpf, dovresti avere fame direi…hummf… Guardami ben fisso negli occhi…e vieni con me!”
A dire il vero A non mosse proprio nulla. Non un solo muscolo, non ci sarebbe proprio riuscito foderato com’era di sonno, sorpresa e… timore. Eppure ecco, si trova all’istante tutto in un’altro luogo ed il grande cinghiale, senza nemmeno essersi presentato, è scomparso.
Sabbia bianchissima e diligentemente pettinata ad onde, linee rette e cerchi, con sassi e piccole piante ornamentali circondava tutt’intorno corridoi di legno nettati a lucido, come ponti sul nulla che
traghettavano ai vari edifici. Il silenzio era… ammirevole, quasi il risultato di una volontà comune ed astratta di tutti gli animali… in certi momenti anche l’acqua sembrava addestrata a scorrere tacendo..
Maialini di statura molto piccola e raccolta, decisamente, unicamente rosa, molto puliti e… pettinati!… procedevano ordinatamente in fila verso un largo edificio ed A, non sapendo bene che fare di sé, s’incamminò per ultimo con loro. Che strana passeggiata… passi lenti e costanti, ben misurati ed assorti, respiri regolari, e tutto intorno si percepiva come un’intento d’armonia, d’unità, un intento di bellezza essenziale. A procedeva con destrezza in un modo tutto suo, senza regolamenti, semplice e naturale, risplendeva vivo e delizioso, col suo musetto un po’ interrogativo, all’interno di tanta astratta compostezza, un po’ rigida a dire il vero. Non lo ricordava ma aveva praticato infinite volte il kin-hin accanto al suo papà.
Nella grande sala c’era il suo posto perfettamente in ordine fra gli altri e con delizia si ritrovò davanti una magnifica ciotola calda di riso, ghiande e verdure! Si guardò delicatamente intorno per essere sicuro che fosse proprio per lui, la fame era… immensa… e la ciotola forse un po’ piccola ma ciònonostante voleva essere certo di non far torto a nessuno. Rassicuratosi, tutti mangiavano tranquillamente, assaporò con profonda gratitudine, chicco per chicco e foglia per foglia, ringraziando terra aria acqua e luce del sole per aver creato tanta bontà. Alzando lo sguardo dagli ultimi chicchi notò, a lato del suo posto, 2 occhietti interrogativi dentro un pallino di piume soffici, e un becco rivolto all’insù verso di lui educatamente speranzoso… il suo cuore si riempì di gioia perché nonostante il grande appetito era ben triste non poter condividere con nessuno un pasto così squisito e sorridente avvicinò pian piano la sua ciotola al batuffolo, il quale ci pensò su solo 1 secondo volandoci poi dritto dentro. “Grazie! Io mi chiamo Prasad” pigolò sbocconcellando con evidente piacere, e a colazione terminata, dal bordo della ciotola, lo apostrofò serio “Ma tu hai ancora fame,vero?” A non voleva affliggerlo e poi era molto felice di aver potuto offrire qualcosa. “Oh, lo so! – rispose come se A avesse parlato- Tu però ricorda che c’è sempre abbondanza nell’universo per ogni bisogno condiviso” E mentre Prasad parlava la ciotola di A fu nuovamente calda e piena. Si alzò a baciarlo sul muso “Buon pranzo amico caro!” e volò via.
“L’incontrrro con il Maestrrrro è aperrrto ogni 3 giorrrni, devi solo metterrrti in fila, ma velocemente perrrché tutti qui abbiamo un koan e l’udienza è aperrrta solo perrr 10 …
Ma TU da quale allevamento vieni?? Hai un’aspetto così…strrrano…UH! Non dirrrmi che uno di campagna è stato adottato in città?!?!? Noi ,qui, veniamo TUTTI dai migliorri allevamenti e terrrminata l’educazione andrrremo a starrre in una casa degli uomini, siamo animali da compagnia orrrnamentale, sai”
Era decisamente impettito e nel suo sguardo si leggeva un’impostazione di superiorità, ma così sradicata da madre natura e così sperduta al contatto con una novità che nel suo cuore A provò per lui tenerezza. Pettinato, un po’ buffamente, con una sorta di scriminatura laterale ben saldata di gel,
aveva le unghie lucidissine e l’aspetto di qualcuno a cui fossero stati totalmente negati i divertimenti del bosco e i bagni di fango. Il suo muso non sapeva orientarsi col vento ed i suoi occhi non sembravano scorgere nulla al di là delle forme materiali. “La scuola qui ha una durrrata varrriabile, dipende da te acquisirrre competenze di pulizia e comporrrtamento. Perr quanto rrriguarrda i 3 Koan poi…anche se non li rrrisolvi non imporrrta nulla, sono una prrreistorria di un tempo passato quando questo centrrro errra una scuola spirrrituale… rrroba da dinosaurrri! Le competenze sono la cosa più imporrrtante, se imparrri a non sporrrcarrrti e starrre educatamente al tuo posto orrrnamentale vieni comprrrato dagli uomini subito! Verrro è – aggiunse squadrando A e ricontrollandosi in automatico la scriminatura- che anche l’aspetto fa una cerrrta differrrenza, naturrralmente, no?”
“DOOONNN” “Che suono squisito, che vibraz… ” una mandria di maialini galoppanti calpestò la coda del suo pensiero travolgendo anche il suo corpo, A rotolava fra spinte e rincorse a livello suolo. 60”, forse anche meno -in fondo si trattava solo di formare una fila- decisamente surreali: zoccoli smaltati a lucido, code arricciate come col bigodino, puzze varie di gel, deodoranti e shampoo alla vaniglia sintetica, il tutto accorpato come in un take-in di una partita di rugby americano, si ruotava sbandando sulla sabbia candida e sgommando sul rettilineo finale. A fu trasferito direttamente al primo posto ritrovandosi imbarazzantemente pluriaromatizzato e con un fiore bianco, tumefatto, in grembo.
La sala d’attesa al colloquio era un largo spazio rettangolare, terso e vuoto. Al centro esatto una piccola fontana di rame dove l’acqua si raccoglieva e trasferiva in fiori a coppa di diversa altezza.
Appena entrati i maialini, incapaci di tacere, si tempestavano di domande e risposte sui rispettivi
koan, nessuno ascoltava nessuno in simultanea. A , forse più per allontanarsi da quel caos che per dirigersi in qualche direzione, giunse ai piedi della fontana: le cascatelle d’acqua cantavano sommesse, raggi di sole, baciandole, regalavano ponti d’arcobaleno, in quel cerchio di pace riposava, sorridente, il respiro dell’universo… depose il fiore calpestato su una coppa in un gesto di offerta ma anche di speranza, forse quell’acqua così luminosa avrebbe… chissà… potuto risanarlo.
Una, due, quattro… dieci!… farfalle di ogni colore affluivano come una nube intorno alla fontana ed al suo culmine, come sorta dall’interno dell’acqua, una creatura di luce radiosa gli parlava: “Benedetto il tuo cuore rifulgente d’amore! Sono Oshady, la fata regina di ogni fiore e frutto. Rispetto la tua anima pura e gradisco la tua offerta! Ecco! “ Il fiore, rinato era lucente come una stella “Porta in dono al maestro questo segno tangibile della potenza del tuo cuore, lui conosce chi sei, e sappi che solo tre passi ti separano ormai dal tuo dharma! Da oggi -e da sempre- tu sei il mio protetto, ecco a te la farfalla!” una delicata piccola farfallina giallo oro si posò sul suo dorso “Sarà sempre con te! E’ il mio pensiero, la mia sapienza, la mia potenza.”
“DOOONNN”
“Hei, campagna! Svegliati! Il prrimo, non si sa bene come, ma sembrrra sia tu… andiamo, andiamo! Vai dentrrro, prrrego! E’ il tuo turrrno!!!”
8 porte aperte per ogni lato della stanza circondano A appena entrato. “Huuummmpf” Baba-yaga, invisibile, sorride dolcemente notando la farfalla. A protende nel vuoto il suo fiore bianco:
“ Maestro… è per… te” non riesce ad aggiungere altro. “Grazie” il fiore vola alto nella stanza e resta sospeso al centro come… un lampadario vegetale. ”Prego, Benvenuto. Osserva” La prima porta si chiude ed A si ritrova riflesso in uno specchio: cogitabondo vede… un maiale, chi è? Non certo lui! Non si sentiva di assomigliargli minimamente, era tutto…corpo! Niente luce! Niente colori!!
Nel mentre, una dietro l’altra, tutte le 7 porte ad una ad una si chiudono e come in una sequenza cinematografica accellerata i maiali si moltiplicano per ogni dove: a lato, davanti, dietro, più dietro ancora, e si accatastano l’uno sull’altro in una processione caotica ed infinita fino…alla notte dei tempi… Hai voglia di vedere, o almeno credere di vedere, nonna, papà, la sorellina, un’amico dei prati, un vecchio zio, la bisnonna come dalla foto, un prozio come da ritratto, una maialina sognata una notte… maiali su maiali su maiali si sovrappongono l’uno sull’altro, negli occhi, nella mente, nel cuore… una folla di musi… in qualche modo tutti fratelli eppure anche indistinti… nel suo sforzo di comprendere A si sentì d’essere tutti, tutti, TUTTI ed insieme di non essere più…
“Beeene, hummpf hummpff, MOLTO bene. E’ appunto questo. Noi siamo un tutt’uno, nessuno è separato dagli altri, come non siamo separati da nulla che sia nell’universo… noi siamo un frammento d’universo che per essere ha bisogno di tutti gli altri frammenti… L’io è un’illusione, una catena, una cecità: Solo l’essere esiste, il tutto, nel più infinitesimo come nell’infinito. Bene si, molto molto bene. Ecco ora, prendi” Gli specchi si sono disfatti come nebbia al sole, A ora è in un grande giardino. Davanti a lui 3 scatoline di legno, identiche all’esterno, contengono ognuna granelli scuri, questi si, un po’ diversi fra loro. “Osserva, odora, ricorda!”.
“ Humpf “ venne di fatto di mormorare anche ad A. Sembrava un bel mistero.
“Oh! Un’altra colazione? Sono pronto!” disse a piena voce planando dal cielo in picchiata Prasad.
“ Ciao amico caro!…Hem hem…col tuo permesso… io comincio!” E senza attendere risposta in un battibaleno 2 scatoline erano vuote. A non riusciva più a parlare… non sapeva come prenderla… era un disastro! Ma forse… forse… “Uh, ma quanto sei mentale,tu! Ma certamente che ti stò aiutando, forza annusa qui, e poi, anche se volessi, questi non potrei MAI mangiarli, son sacri!” Anche la farfallina si era posata sui semi rimasti: A chiuse gli occhi ed avvicinò il musino… lampi d’immagini si accesero immediatamente: l’erba verdissima, il prato dei fiori, steli in primo piano e…Isidori! Si gli Isidori, pieno zeppo di Isidori!” Gioia e stupore gli fecero spalancare gli occhi e vide, proprio sopra i semini rimasti, spirali di luce oro ed argento che si avvolgevano come un’elica di dna, la nube si strinse, si addensò ed ecco Oshady sospesa davanti a loro (loro, si, A, la farfalla e l’entusiasta Prasad) “La fata Oshady, la fata Oshady! Benvenuta signora!”
“ Mio amato e protetto sappi: l’Isidoro è una cellula vibrante di compassione infinita, la sua potente energia dissolve il karma accumulato dagli uomini. Per ogni Isidoro liberato un karma umano riacquista la luce e la purezza iniziali all’istante. E davvero TU, luce purissima, sei stato il ponte di innumerevoli liberazioni! Che tu sia benedetto! Pianta questi semi sacri, fai dono ai maialini dello zendo di questo magnifico strumento d’amore infinito. E preparati poi ad affrontare il tuo ultimo passo, il 3° koan”
Davvero avevano un non so che di elegante,11 mucchietti di terra per 7 file.
A aveva scelto una sezione di giardino appartata ma ben servita di luce ed acqua. La farfallina danzava disegni segreti di buca in buca ed A, lì accanto, contemplava assorto la scatolina vuota.
Quell’odore familiare colmo d’immagini passate, emozioni… 4 pareti di legno scuro e dentro… un sentimento forte di lacrime, nostalgia, cuore smarrito…
A ci cadde letteralmente dentro.
“Amore caro, mio cuore, mio respiro… com’è fulgida la tua luce! Quale meraviglia averti messo al mondo!” Sua madre, dolcissima, vicina e sospesa su di lui, gli parlava teneramente. “Mio piccolo…
e luce del mondo nel mondo… non sentirti mai, mai solo, amore. Sono sempre in te, con te. Chiedi, ed otterrai ogni risposta, ogni sapienza, ogni potere. E’ questo il tempo, nel tempo del tempo,
questo è il giorno della scelta e dell’azione. Esci dal buio amore, e vai al tuo appuntamento! .
Tutto il mio amore è con te AHIMSA! E’ tempo che tu ricordi il tuo nome”.
“Ah, ECCO! Perché, mi dicevo, hei, hei hei, HEI! Ma che rumore nella testa! Un fruscio, una zanzara, un fragorino piccolo piccolo, un fastidiosetto ritornello e dài, dài ,dài!… mica potevo più dormire!
Ahimsa… e che nome sarebbe??? …mi sembra pure da femmina… E insomma, dài e dài… e mi ritrovo qui! OH, TOCCA SEMPRE A ME SALVARTI!!!” Il topo.
Ma un’ectoplasma del topo. BIANCO innanzi tutto, magro da far spavento e con 2 occhi… come 2 tunnel oscuri , senza luce, né fine…
“AH, si:.. Il laboratorio. Tutti bianchi lì. Gabbie, cemento. Ma non come da te, Gandhi. QUI siringhe, prelievi, flebo d’ogni tipo di orribile sostanza, e un dolore così… duro, così… vasto…
da annientare anche me.
Ora però sono qui.
A dire il vero non me lo ricordo bene come ci sono arrivato… quel rumorino, quel piccolo trapano nel cervello… scavava, scavava, un dolore tanto impossibile, PAZZESCO!!! … sangue negli occhi, in ogni dove dentro di me…e quel suono lancinante… dolore? Rumore? Acciaio nella testa??? E poi un tonfo, un crack, un fracasso generale, tutto il mio corpo in particelle proiettate fuori, come nel vomito di una scimmia che ho visto urlare il sangue dalla bocca nel suo ultimo esperimento prima della morte… ma tu lo sai che sei finito in una tomba?”
Ahimsa vedeva un foro grande nell’immagine della testa del topo, una finestra aperta al cielo, e dentro… una potiglia rossa con piccoli resti di cervello.
“Dài vieni su… non c’è più tempo per fantasticare… devi aiutarci TU da adesso… tutti… tutti noi, animali distrutti, straziati, dimenticati, nei rispettivi inferni”.
C’era il sole, giallo oro classico, e caldo. E un prato.
Ahimsa fissava un nulla invisibile respirando piano. Immobile nel verde.
Una bambina dai capelli a boccoli selvaggi rosso oro trottava felice nello spazio che a lei sembrava infinito di un prato nella campagna ai confini della città.
Seguiva una libellula come compagna di giochi, fingendo di prenderla quasi, ad ogni sosta su un fiore e poi via, ripartiva con lei… inciampò proprio, in Ahimsa e i due si ritrovarono abbracciati.
Naso a naso, occhi negli occhi, seguì qualche secondo di silenzio, sorpreso dapprima e poi stupito.
Lei lo circondava intorno al collo al quale si era aggrappata per non farsi male nella caduta, ed ora gli respirava accanto fissandolo. Ahimsa sollevò il suo sguardo. Un’ondata di amore frizzante e colmo di vita totalmente innocente si riversò dalla porta dei suoi occhi in tutto il suo essere, inarrestabile, semplicemente invincibile.
Lacrime caldissime rigarono il suo musetto rosa, lacrime come il mare infinito di ogni dolore senza voce, lacrime d’amore senza vittoria, ancora, amore senza tregua, amore infinito per ogni cosa del mondo.
“Ma che magnifico maialino sei tu!” lei gli disse semplicemente, accarezzandogli la testa con delicatezza. Lo guardava negli occhi con tenerezza sicura, con certezza di verità. Asciugò le sue lacrime, con precisione e destrezza, senza quasi parere d’averle notate, poi tirò su un sospiro di gioia e sollievo, si accostò ancora più vicina e poggiando la testa sul suo collo, addolcendo il suo abbraccio, si addormentò. Ahimsa, frugando, ricordò delle favole e le recitò mentalmente per accompagnare i suoi sogni.
“Sono un magnifico maialino, semplicemente” .
Inchinato davanti al suo maestro Ahimsa rispose al suo koan.
Baba-yaga lo strinse a sé per un tempo infinito di ogni rinascita e morte fino a liberazione. “E’ così” gli disse, e lo lasciò andare.
Una strada qualunque in un luogo qualsiasi, ancora campagna, ma di quella già strangolata un po’ dall’uomo. Ahimsa sa che deve andare avanti e cammina. Sullo sfondo, a lato a destra un ragazzo.
Ahimsa vede la sua aura bellissima, un concerto di tutti i colori diffusi in unica luce, un bagliore di lame taglienti anche, e fuoco costante. Molte ferite, amore infinito e determinazione. Onde di pace e statura per lottare. E per la prima volta, dopo immemorabile tempo, si sente a casa.
Allora avanza baldanzoso verso di lui, passo dopo passo lava via la stanchezza, accende il cuore,
avvia il motore della vita.
Il ragazzo ha un’orologio da taschino “Decisamente puntuale… e… proprio proprio come ti immaginavo…” un sorriso forte e chiaro.
Si inginocchia alla sua altezza quasi come un’inchino, e lo fissa dritto ed amorevole negli occhi “Benvenuto fra noi Ahimsa, vieni, abbiamo infinite cose da vivere e fare insieme”.
Ahimsa mette a fuoco un distintivo, una spilletta in verità, in campo verde una scritta rosa:
“Go Vegan”.